domenica 16 novembre 2014

Seven places to visit - New article in Santmagazine



These are not the Seven Wonders of the World, but are seven places that you have to visit at least once in your lifetime.


http://santmagazine.com/seven-places-visit/

Tina Imbriano photography


Maruga

October's Puzzle

The last piece of the puzzle: October








Ottobre, mese intenso, assurdo. Sono successe tante cose ma ho imparato una lezione fondamentale: essere iperattive è male. Ho trascorso l'ultimo mese facendo quattro lavori. Non è vita, non è salutare ed è annientante. Mi sono sentita più in fretta del Londinese medio ed è...grave!  Parola d'ordine: Take your time. Il problema di questa città è che se hai voglia di fare "cose", queste, non mancano. La pecca è che in maniera folle cerchi il modo di incastrarne sempre di più e se ci riesci è la fine, senza capire come hai fatto sei sommerso di cose e non hai più tempo per te stesso. Ho abusato di caffè, in moka o solubile, l'importante era la caffeina e ho rincarato la dose tracannando energy drink per reggere il lavoro serale al ristorante. 
E' come quando ti ingozzi di cibo e poi hai la nausea. Ci perdi gusto. 


Definirei ottobre come il mese Puzzle. Calza a pennello una foto che ho fatto nel vicoletto davanti all'ingresso posteriore del ristorante, sembrava fatto apposta:

Missing puzzle

Ho voluto leggerci tutto il leggibile, mi sono immaginata il bimbetto festante che, in un picco di goffaggine, dissemina ovunque il contenuto della sua scatola di Puzzle. Sotto la pioggia... Poi arrivo io il mattino dopo, pronta  a passare l'ora successiva a sbucciare e tagliare cipolle e ti ritrovi questa cascata di pezzettini colorati davanti ai piedi. Mi ci sono rivista, intenta nell'impresa di ricomporre quei pezzi per dare un senso al tutto; di farlo come si deve, perché alla fine si veda il risultato finale. E deve essere un bel risultato perché sennò cosa hai fatto? Hai perso tanto tempo per fare una cacata? Eh no... Poi guardandolo più attentamente mi sono accorta che in realtà mi piaceva un sacco anche così. Perché deve esservi un ordine? Ricomponendolo tutto non ci sarebbero sorprese e sarebbe tutto spiattellato alla luce della chiarezza e dell'ovvietà. Mi piaceva l'idea di una vita, in stile puzzle scomposto (magari non spiattellato sulla strada) e pazienza se i pezzettini visti così di primo impatto non sembrano avere un senso ma è la sensazione di poter  dire: "Bene la vita è la mia e la compongo a modo mio..."
E così mi sono messa a fotografare l'opera d'arte nel vicolo e immaginatevi la faccia dell'addetto alla delivery che vede una rannicchiata a terra che fotografa una poccia impiastricciata a terra. 

Point of view... 

In ogni caso tra scottature, sia fisiche che letterali, re-interpretate in chiave ottimistica (vedi sotto l'uccelletto che canta De Andrè, l'occhio è la famosa ustione) giornate di sole regalate, Halloween, abbuffate e conseguenti slanci dietistici è arrivato novembre e i nuovi propositi del mese...



Ho lasciato uno dei lavori per concentrarmi di più sulla scrittura. Mi sembrava una buona idea frequentare un corso di inglese scritto e per caso sono incappata nel corso proposto dalla London school of Journalism, un corso di tre mesi. Strutturato molto bene con molti laboratori pratici, ho pensato: "Fico, quanto vuoi che costi?".  Scrivo una mail per avere informazioni... Costo totale?? 3800pound=4780 euro più o meno... 
Niente London school of...
La buona notizia è che ho scoperto che esistono tantissimi modi per spendere poco o niente per imparare al meglio l'inglese. Come partecipare, ad esempio, ai mille e mille incontri di chiacchierate in compagnia di inglesi e non che si possono trovare ovunque spulciando in rete come questo oppure (ancora più fico) nelle università statali vengono proposti corsi di inglese dagli 80 pound ai massimo 200. La cosa assurda è che se dall'Italia provate a cercare un corso d'inglese i primi risultati Google e la convinzione comune (e più pubblicizzate) è quella di fare corsi da due settimane per cifre assurde.  Se uno fosse dotato di buona volontà e dedizione ne esistono tantissimi on line validissimi e gratuiti. Se vi serve però un'attestato linguistico li non si scappa ma costerà sicuramente meno delle due settimane per milioni di euro.
Adesso arriva il natale, sentitissimo dai colleghi inglesi e mi sto facendo trasportare dal sentimento natalizio, forse anche a causa dei temi che dovrò trattare per il magazine... Ma non anticipo nulla. 


 Christmas in Covent Garden

 Ottobre, infine, è stato anche la scoperta (tardiva) di Tango, sempre snobbato a favore di Skype che non funziona mai. Tango ha retto ore e ore di chiacchiere più o meno serie regalandomi un'alternativa più quotidiana (e visiva) alle mie telefonate Viber...

 A very serious conference call with Tango's




Maruga






mercoledì 17 settembre 2014

My first Traveller's guide




How to feeel blind. For the travellers, been in a new places, for me writing in a new language, different from mine, italian. 
Leave italian to discover english. This is my travel. 


Insegnare come perdersi agli inglesi. La mia prima mezza guida al turista squattrinato inglese o anglofono. So che chiunque di voi avrebbe qualcosa da ridire (partendo da un errore grave che ho trovato ma che non diro', cosi' chi non sa, continuera' a non saperlo. Sapevatelo) i posti da suggerire, il come, il cosa ecc... Il mio primo e timidissimo articolo in inglese... Questo mi ha limitato tantissimo nell'enfasi descrittiva, addirittura sul cosa fare e come, questo perche' dispongo di un "pallottoliere limitatissimo" e spesso mi mancano proprio le parole. 
Mi sento una neo mamma che ha partorito il suo piccolo. 
Che sensazione di cecità' scrivere in una lingua diversa. Passare da un sentiero conosciutissimo, l'italiano, a quello tenebroso (per me e per ora) e terrorizzante dell'inglese... Tutto questo mettendoci tanto di me,  tentando di descrivere posti che amo. E' stato anche frustrante perche' spesso mi arenavo nella tortuosità' del pensiero che tentavo di dipanare e tradurre. Chissa' cosa ne e' venuto fuori. 
Se vi va fatemi sapere...eheheheh


E uno e' andato dai. Sotto un altro...
ps. anche le fotine sono farina del mio sacco...










lunedì 8 settembre 2014

Passeggiate Londinesi in solitaria


Per alcuni sarà scontato ma quando, per caso, mi sono imbattuta in Shepherd's Bush Market sono rimasta folgorata. Mi sembrava di essere approdata nei Ryad marocchini, a Rabat o da qualche parte in oriente. Da nessuna parte sentivo parlare inglese, c'erano sarti, piccoli baretti con The alla menta e ogni tipo di pietanza tradizionale. Veniva venduto di tutto, anche le classiche cose che mia madre fatica a trovare in Italia e che compra una volta all'anno in Marocco per tutti i mesi successivi. Mi sono divertita a perdermi tra le buie viuzze che si addentravano sempre di più nel cuore del market per scoprirne tutte le sorprese. Da una parte mi ha affascinata, dall'altra mi ha lasciata perplessa vedere com'è facile rinchiudersi in un mondo rifiutandosi di uscirne tanto da ricostruirne uno a sua immagine e somiglianza, mi ha preoccupata vedere come è facile decidere di non vedere quello che si ha attorno o di rifiutarlo.
 Ma sarà sempre traumatico per alcuni uscire dal market la sera e ritrovarsi nel caos londinese...



domenica 7 settembre 2014

Racconto per immagini

Prima parte del mio racconto per immagini della città...



















venerdì 29 agosto 2014

Pointillisme e poca Maruga...

Questo è il post più difficile da scrivere. 
E' il racconto di come ho buttato a gambe all'aria la mia vita a Parma, in Italia per colpa della mia insoddisfazione cronica, della ricerca del chissà cosa.


Ora ve lo racconto a cose già fatte.
Quando ti sembra che vada tutto a puttane, quando ti rendi conto che sei troppo lontana dalla persona dei tuoi sogni, troppo diversa, quando non ti accorgi di non capire come sei arrivato li e che davi per scontato che bastasse chiedere per avere, quando ti rendi conto che nessuno ti ha ascoltato e che sarebbe stato meglio prenderselo e basta. Quando senti sulle spalle il peso dei cocci dei desideri distrutti sulle tue spalle, ecco a quel punto è tardi. I più navigati direbbero:"Su dai, non fare la donna con dei rimpianti a ventisei anni". Invece è proprio il momento, perchè è proprio adesso, il momento in cui scegli se salvarti o no. Qui si decide se rassegnarti e farti trascinare dalle cose e arrivare chissà dove e degenerare. Nel bene e nel male ma per i più è nel male. Immagino un individuo diventato l'ombra del bambino che "si immaginava". Un individuo che non "si immagina" più, che ha solo bile da vomitare, nel migliore dei casi, nei peggiori neanche quella, solo il nulla. A quel punto forse non ci si chiederà neanche perchè si è li, tanto non ha importanza, non si può tornare indietro. Non si ha avuto  il coraggio di farlo prima. Nel film "Nella città incantata" di Miyazaki, la protagonista in un pezzo del film viene inseguita da una specie di essere informe quasi magmatico: l'Essere. Nella mia immaginazione se mi lasciassi trascinare dalle cose senza scegliere diventerei L'Essere.
Ho lavorato per due anni per la Vodafone e parallelamente facevo quello che mi piaceva ma per il 5% del mio tempo. Iniziai a lavorare quaranta ore alla settimana con l'idea di farlo per poco tempo, qualche mese. Invece sono diventati ventiquattro e non so come... Mi stavo trasformando...
Era ossessionante nella mia testa dall'idea di essere attiva, sbagliando o facendo la cosa giusta ma sarebbe stata la mia mossa. Il mio riscatto da due anni di oblio doveva avvenire rimettendomi a studiare per la laurea specialistica. Fregata dalla macchina burocratica ho ripiegato per il classico master per poi piantare tutto in asso e decidere di venire a vivere a Londra.

Del bivio ho scelto l'altra strada, per alcuni la più assurda, la più imprevedibile, potrei diventare in ogni caso L'Essere. Oppure traboccare di vita. Ma non immagino una vita da punto A ad un punto B ma una vita a pointillisme. Un flusso in cui ogni cosa esiste ed è più bella vista con le altre, diverse e complementari.


Sta di fatto che ora sono qui, nella mia cameretta da mezzo metro per uno sputo da 100 pound alla settimana a Londra e temo, a volte, di aver perso la bussola. 

Ma visto da qui è relativo, forse non mi serve la bussola.


lunedì 14 aprile 2014

Per la presentazione del libro a Parma di Cécile Kyenge




Per la presentazione del libro a Parma di Cécile Kyenge:




«Si può fare cultura anche da immigrati». Esordisce così, Cécile Kyenge, durante l’evento promosso da Cleophas Adrien Dioma, direttore artistico del Festival Ottobre Africano in collaborazione con la Libreria Fiaccadori, che ha ospitato l’appuntamento e il PD di Parma in occasione della presentazione del suo libro “Ho sognato una strada. I diritti di tutti”, (Piemme Edizioni).
A conversare con la deputata c’è Adele Tonini che tenta di toccare tutti i punti cari alla Kyenge: la partecipazione attiva degli stranieri alla vita del paese, il diritto alla cittadinanza, il diritto di voto, l’importanza dell’azione non violenta. L’incontro con la deputata, ex ministro per l’Integrazione, parte inizialmente con temi che la coinvolgono dal punto di vista politico. Ma il suo libro, non è un manifesto politico è il racconto della storia della Kyenge una volta arrivata in Italia, molti anni fa.
Dedicato alle sue guide spirituali Nelson Mandela e Martin Luther King, condivide la sua storia ricordando i principi basilari che dovrebbero riguardare tutti, non solo gli stranieri, come il diritto a sognare: -«Mentre finivo di scrivere il libro mi è arrivata la notizia della morte di Nelson Mandela. Mio grande desiderio sarebbe stato quello di far scrivere la prefazione del libro a lui. Con la sua scomparsa non ho più messo la prefazione e tutto il terzo capitolo è dedicato a lui. Dedico il libro anche alle mie figlie e attraverso loro a tutti i giovani. Vorrei che il mio racconto sia anche un manifesto contro la rassegnazione, è importante partire dal proprio sogno per arrivare anche ad un progetto collettivo, è un invito a fermarsi e riflettere. E’ anche un testamento culturale. Io ho sognato una strada ma non è detto che io ne veda la fine. Noi lasceremo gli strumenti idonei per continuare in questo “viaggio” a chi verrà dopo di noi. Dobbiamo accompagnare i giovani a rendersi conto che con la determinazione e la fede possono arrivare lontano e non devono dimenticarsene.»-
Una determinazione che appare più che evidente nella parte in cui si legge di una Cécile che s’iscrive in medicina nel suo paese di origine ma l’iscrizione non viene formalizzata per essere poi spostata, d’ufficio, alla facoltà di Farmacia: -«Alle cinque del mattino mi svegliavo e alle sei e mezza ero seduta in prima fila insieme ad altre ottocento persone.  Io passavo gli appunti a tutti, non a Farmacia ma alla facoltà di Medicina! Non ho mai messo piede in un’aula di Farmacia e andavo tutti i giorni dal Rettore a dirgli che si erano sbagliati e che dovevano iscrivermi a medicina.»
Nella narrazione di Cécile riveste un particolare significato simbolico una valigia azzurra: -«Sono partita con una valigia azzurra enorme. Non sono andata a cercarla o a comprarla apposta. I migranti non andavano di certo a fare shopping prima della partenza, si partiva con quello che si aveva. Io in casa avevo questa valigia. Era praticamente vuota, dentro i miei vestiti, qualche libro e una sola certezza: di sapere di avere diritto allo studio, di avere il diritto di inseguire il mio sogno di studiare medicina. La mia storia da migrante partita con quella valigia assurda, non è tanto diversa da quella degli altri. Io sono diventata quella che sono perché non mi sono mai arresa. Molti dicono che per me è stato diverso, visto che ho studiato e che sono medico, ma per molti versi mi è andata peggio di molti altri. Appena arrivata in Italia, diciannovenne, venni subito derubata in albergo, chi doveva assegnarmi la borsa di studio morì d’infarto il giorno stesso del mio arrivo, quindi nessuno era stato messo al corrente della mia situazione.»-
Nella storia di Cécile sembra che il destino si sia divertito a mettere le mani è ovunque a partire da uno scambio di persona: -«Persi l’esame di ammissione alla facoltà di medicina, per un giorno solo, perché il mio aereo arrivò in ritardo. Il vescovo della mia città mi aveva dato una lettera dicendomi che in caso di bisogno potevo andare dal sacerdote indicato nella lettera. Il portinaio si sbagliò e chiamo padre Bechesh anziché padre Becher. Per mia fortuna era un giovane, molto dinamico, in gamba. Campendo di non essere lui, il destinatario della lettera, non ci pensò due volte.»
Essendo il sacerdote di origine Ungherese, un rifugiato politico, con un’esperienza da migrante alle spalle, capiva benissimo la situazione di Cécile e l’aiuto rivelandosi decisivo in questa fase: - «Probabilmente se la lettera fosse arrivata alla persona giusta le cose sarebbero andate diversamente e forse oggi io non sarei qui. Padre Bechesh è stato la mia guida durante gli anni della laurea. Dopo un anno dal mio arrivo, incontrai il sacerdote destinatario originale della lettera: era un anziano, sordo, cieco e sulla sedia a rotelle. Probabilmente non sarebbe stato in grado di aiutarmi.»-
Ricorda la responsabilità delle famiglie, degli adulti nell’approccio che possono usare con gli altri, l’importanza del confronto positivo: -«Questa mattina, prima di venire qui, sono stata in una scuola media e ho parlato con i ragazzi. Ho chiesto ad uno di loro a caso di indicarmi il suo migliore amico e di spiegarmi come mai si fossero scelti. Lui mi ha dato delle motivazioni più che normali: passioni, interessi o il fatto di essere cresciuti insieme fin da piccoli. Uno dei due amici era italiano, l’altro marocchino. Nessuno dei due ha definito l’amico per l’origine o il colore della pelle. E’ importante partire dal valore delle persone, dal capitale umano piuttosto che dalle differenze razziali.»-
Ascoltare l’autrice parlare del libro e della sua vita ha fatto emergere il suo carattere di donna e non solo di deputata. Una donna forte, determinata che ha affrontato “una Roma” non sempre amichevole, vittima di strumentalizzazioni e di prese in giro. Orgogliosa di aver affrontato dei temi tabù in un’Italia, non sempre comprensiva, ma che le ha dato tanto e he continua a farlo. Lei non si arrende e promette di continuare a parlare d’immigrazione, integrazione, cittadinanza e soprattutto il diritto all’uguaglianza.


Maroua El Baoui



Testimonianze. Il migrante deluso. Un migrante maziato...


Pretious l'ho conosciuta per caso, è venuta da me, alla Vodafone dove lavoro, per comprare una sim, due chiacchiere molto veloci e ognuno verso i propri impegni. Era estate, quindi due battute amichevoli sul tempo e via...

La vedo tornare qualche tempo dopo e dal nulla mi dice:"Ho bisogno di te".
Io la guardo e non capisco... di cosa può aver bisogno? Le avrò attivato la promozione sbagliata? Invece, con imbarazzo, senza neanche guardarmi in faccia, mi chiede di aiutarla ad inserire la sua iscrizione nel portale unipr.ir perchè nessuno vuole farlo. Ha provato da sola ma non c'è verso. In segreteria le hanno risposto:"Chiedi a qualcuno che lo abbia già fatto perchè noi non possiamo fare niente..." Mi ha sconvolta vedere che nell'intero cerchio di conoscenze, l'unica persona che potesse darle una mano potessi essere io, un'estranea completa. Accettai di aiutarla e un pomeriggio andai con il mio pc a casa sua per aiutarla.
Rimasi non dico sconvolta ma...Triste. Per la sua casa: pagava più di seicento euro al mese un buco di casa che andava a pezzi, una cucina con un impianto neanche lontanamente a norma, cucinano su un fornello con bombola a gas. Una camera con un pinguino acceso a manetta con i bimbo più piccoli messo li dentro per sfuggire al caldo assurdo generato da muri in compensato e cartongesso... Mentre inserivo la sua richiesta di iscrizione all'università mi raccontò che era da diversi mesi che provava a cambiare casa ma che nessuno le affittava un appartamento per le sue origini africane. Mi raccontò del mobbing sul lavoro, delle angherie del proprietario di casa...
Ho provato ad aiutarla dandole una voce, sperando arrivi a qualcuno...









lunedì 31 marzo 2014

Io viaggio, quando capita sola. La mia storia da Matusa-mareka spacca noci

Chissà perché, ma mi è bastato così poco…
Come tante cose, anche le migliori, è nato tutto un po’ per caso. Esiste una legge, e ognuno ne ha una propria personale variante, che prevede una percentuale molto alta di fallimento in determinati eventi programmati, la legge di Murphy, appunto.
E’ nato un po’ così il mio primo mini-viaggio in solitaria. Non dico “vacanza” perché implica una dose di relax e spensieratezza che di norma manca nelle mie uscite, ma questa è tutt’altra storia…
Già l’anno scorso si presentò la possibilità di stare via qualche giorno da sola. Come da premessa, l’idea era di partire per Bruxelles con un’amica ma Murphy decise che no, la cosa non andava fatta… La compagna di brigata rinunciò alla gita e io mi trovai sola con quattro giorno di ferie chiesti e un’amica Ryanair che ammiccava seducente.
Barcellona: perché no? Non ero mai stata in quella città, la primavera avanzava felice e… Mi assalirono mille dubbi. Ma una ragazza, che viaggia da sola, è al sicuro? E dove dorme? In un ostello?? Naa… E la sera? Con chi esce? Sta in albergo? Allora il budget cambia?
Partita nella pianificazione iniziale con entusiasmo e spavalderia sfociai nell’indecisione più nera, passando da un forum all’altro, cercando recensioni e racconti di esperienze di chi, prima di me aveva provato l’esperienza. Dico L’esperienza e non Un’esperienza perché ho successivamente scoperto che è quasi uno status symbol definirsi un “Io viaggio solo”. Twitter, Facebook e la rete in generale,  pullulano di gruppi, utenti incuriositi o navigati viaggiatori solitari seriali:





Pagine dedicate alle sole donne che decidono di organizzare un viaggio in solitaria:


In rete trovai la mia motivazione, sembrava totalmente normale e anzi, quasi formativo.

Chi in maniera più blanda, concedendosi brevi week end, chi in maniera più “strong” sparendo per settimane o mesi in luoghi esotici o lontani, meglio se dai nomi impronunciabili dichiarava l’impareggiabilità dell’esperienza.
Trasferì la mia motivazione ad amici e colleghi raccontando la mia intenzione di andare a Barcellona da sola e di godermi qualche giorno zingarando per la città. La reazione fu diversa da quella della comunità 2.0.

Mi chiesero: Ma perché? Perchè sola? Ma non trovi proprio nessuno? Non è sicuro? A Barcellona ti deruberanno subito…E dove dormi? In ostello? Ma lo devi proprio fare?
Mi arresi… annullai la partenza e me ne rimasi buona buonina a Parma dicendomi: “Insomma un viaggio è bello se condiviso, ma che bisogno ho di andare da sola… che cavolate”
Tentavo di convincere me stessa. 

Arrivò l’appuntamento annuale a Ferrara del Festival di Internazionale. Si tentò, invano di organizzare con amici due giorni in città durante il festival. Ottenni la mia seconda chances perché la compagnia liquidò la gita. Tutto mi era favorevole, trovai l’ultimo buco in ostello (camerata mista) trovai il passaggio e andai. Anche questa volta amici e parenti non capivano, forse sembravo la povera sfigata senza amici.
Avevo paura di sentirmi a disagio, di annoiarmi o di sentirmi incastrata in una situazione spiacevole…Trovai, invece, l’esperienza liberatoria e scoprì quanto mi sembrava naturale, nonostante la pioggia, stare sola. Abbinai il piacere immenso di partecipare a delle conferenze straordinarie ai piaceri della tavola. Scopri che nella pratica non si è mai veramente soli, perché si attirano continuamente curiosi o chiacchieroni che hanno voglia di raccontarti cosa fanno, perché e quando.

Ci presi gusto, mi aiutò Murphy rompendo le uova nel paniere ancora una volta. In questo caso si trattava di quattro giorni flash a Berlino con il mio ragazzo. Avevo l’occasione per provare l’esperienza anche all’estero in maniera più completa, compresi tutti gli odiosi passaggi quali: dormire due ore, prendere l’autostrada e guidare fino a Malpensa alle tre di notte sotto al diluvio universale, trovare il parcheggino prenotato on line, navetta e finalmente aeroporto. Si dilatano i tempi di riflessione ed è anche meno palloso fare le file perché m’incanto ad osservare i miei vicini di fila ed ad immaginarmi le loro vite, scrutare volti, i tic ecc…

Ho scoperto anche di avere un senso dell’orientamento ridicolo, convinta com’ero di essere una super donna cazzuta. Arrivai a Berlino alle 8 del mattino, in ostello alle12. Distanza dall’aeroporto all’ostello? 36 minuti. Come ho impiegato le ore rimanenti? Perdendomi. Ovunque. Dall’indicazione errata del tedesco sgruso-Non-inglese-parlante, ho dato il La ad un interminabile giro-tondo tra treni, bus e metrò per poi, capita la direzione, farmi non so quanti km a piedi, con uno zaino pesante come la ghisa, per non rischiare di prendere il mezzo pubblico sbagliato.
Parola madre dell’esperienza? “Viva Mamma Google Maps”, perché senza sarei caduta nella disperazione più nera. Con il telefono sempre sotto al naso e con la vocina rassicurante di Mamma Maps ho girato tutta la città, passando da un bus all’altro e da una metro sbagliata all’altra ma… Che sensazione fantastica, ovattata nel mio inglese maccheronico, sentivo brividi di libertà ed esaltazione corrermi su per la schiena. Mi sentivo l’eroina emancipata “Mareka de noi artri”. Confesso di aver avuto dei timori e di aver organizzato tutto con la paura, di dover dire da un momento all’altro: ecco, ho fatto una cazzata. Dal timore sono passata all’amore per l’ostello che avevo scelto e ho scoperto che non ero l’unica. Nella mia camera, da otto ragazze, non ce n’era una sola in compagnia; ragazze da tutta l’Europa ognuna per i fatti propri, la più sconvolgente? Una ragazzina neo 19enne, matricolina Russa, con del tempo libero tra un esame e l’altro che si stava sparando in leggerezza una settimana sola a Berlino. Così. Ed ecco che arriva la matusa ventiseienne italo-mareka che la guarda con gli occhi sgranati.

Molto simpatica la scenetta al Judisches museum, io vagavo tra un’esposizione l’altra ascoltando la voce logorroica dell’audioguida, ad un certo punto mi fermo, mi tolgo le cuffie e mi metto a rispondere ad sms. Così, sento schiarirsi una voce che mi chiede se sto bene. Certo, che sto bene grazie. Imperterrita continuo a comporre il mio messaggino. Non convinto, l’addetto mi chiede se sto cercando qualcuno, confusa gli dico che non sto cercando nessuno. La risposta non lo convince così mi chiede da dove vengo, così piccata rispondo: “Italia, ma c’è qualche problema?” All’udire Italia, attacca in italiano: “Ah!Italia! Ci sono stato!” E comincia a raccontarmi della sua vita nel frammento italiano… Ovviamente ascoltavo ma la conversazione mi sembrava surreale, non capivo. Così alla fine mi dice: “Scusa sai ma pensavo ti fossi persa, perché voi mediterranei non viaggiate mai soli, non è vostra abitudine siete troppo sociali. Mi sembrava troppo strano, poi una ragazza sai… Non sembri neanche italiana”
Ah, ecco… Non so cosa sia peggio se essere presa per femmina universalmente incapace o per femmina  mediterranea social addicted…

L’unica cosa negativa, penso, per tutte le donne è il sentirsi osservate, più di una volta ho nutrito il dubbio di avere qualcosa di strano. Troppo trucco? No, zero voglia. Vestita troppo provocante? No, a meno che non esista un qualche feticcio su scarponi da trekking o affini. Più di una volta, uomini di mezza età mi hanno osservata a lungo, per poi alla fine ammiccare nella mia direzione. Non ho capito se tra gli habitué, esista una forma di prostituzione più blanda che vede ragazze sole fingere di leggere guide o bere caffè Starbucks, celare un adescamento vero e proprio. Questo è l’esempio di cosa mi è accaduto a Potsdamer platz! O peggio in autobus, il masturbatore urbano che si siede di fronte a me e con il suo pantalone attillato in lattex comincia a toccarsi tentando di farmi piedino. La mia personale interpretazione dei seguenti episodi è la seguente: probabilmente nella vita di tutti giorni si ha sempre qualcosa da fare, il lavoro, poi lo sport, gli amici, fidanzati vari ecc. Questi impegni fanno si che non si creino quelle sacche d’infinito tempo libero in cui ci si ferma e s’incappa in questi personaggi.  A Potsdamer platz ero seduta su quel muretto da effettivamente troppo tempo e sull’autobus, avendo sbagliato la direzione aspettavo che arrivasse al capolinea per tornare alla mia meta…


Tralasciate queste spiacevoli disavventure di poca importanza, a Berlino ho conosciuto anche delle persone completamente diverse da me. Non per aspetto fisico o credo politico, ma per le piccole routine di vita ordinaria. Per un momento mi sono sentita ricchissima e fortunata di avere il potere, la capacità e la forza di avere la voglia di vivere esperienze così…Anche sola.