lunedì 31 marzo 2014

Io viaggio, quando capita sola. La mia storia da Matusa-mareka spacca noci

Chissà perché, ma mi è bastato così poco…
Come tante cose, anche le migliori, è nato tutto un po’ per caso. Esiste una legge, e ognuno ne ha una propria personale variante, che prevede una percentuale molto alta di fallimento in determinati eventi programmati, la legge di Murphy, appunto.
E’ nato un po’ così il mio primo mini-viaggio in solitaria. Non dico “vacanza” perché implica una dose di relax e spensieratezza che di norma manca nelle mie uscite, ma questa è tutt’altra storia…
Già l’anno scorso si presentò la possibilità di stare via qualche giorno da sola. Come da premessa, l’idea era di partire per Bruxelles con un’amica ma Murphy decise che no, la cosa non andava fatta… La compagna di brigata rinunciò alla gita e io mi trovai sola con quattro giorno di ferie chiesti e un’amica Ryanair che ammiccava seducente.
Barcellona: perché no? Non ero mai stata in quella città, la primavera avanzava felice e… Mi assalirono mille dubbi. Ma una ragazza, che viaggia da sola, è al sicuro? E dove dorme? In un ostello?? Naa… E la sera? Con chi esce? Sta in albergo? Allora il budget cambia?
Partita nella pianificazione iniziale con entusiasmo e spavalderia sfociai nell’indecisione più nera, passando da un forum all’altro, cercando recensioni e racconti di esperienze di chi, prima di me aveva provato l’esperienza. Dico L’esperienza e non Un’esperienza perché ho successivamente scoperto che è quasi uno status symbol definirsi un “Io viaggio solo”. Twitter, Facebook e la rete in generale,  pullulano di gruppi, utenti incuriositi o navigati viaggiatori solitari seriali:





Pagine dedicate alle sole donne che decidono di organizzare un viaggio in solitaria:


In rete trovai la mia motivazione, sembrava totalmente normale e anzi, quasi formativo.

Chi in maniera più blanda, concedendosi brevi week end, chi in maniera più “strong” sparendo per settimane o mesi in luoghi esotici o lontani, meglio se dai nomi impronunciabili dichiarava l’impareggiabilità dell’esperienza.
Trasferì la mia motivazione ad amici e colleghi raccontando la mia intenzione di andare a Barcellona da sola e di godermi qualche giorno zingarando per la città. La reazione fu diversa da quella della comunità 2.0.

Mi chiesero: Ma perché? Perchè sola? Ma non trovi proprio nessuno? Non è sicuro? A Barcellona ti deruberanno subito…E dove dormi? In ostello? Ma lo devi proprio fare?
Mi arresi… annullai la partenza e me ne rimasi buona buonina a Parma dicendomi: “Insomma un viaggio è bello se condiviso, ma che bisogno ho di andare da sola… che cavolate”
Tentavo di convincere me stessa. 

Arrivò l’appuntamento annuale a Ferrara del Festival di Internazionale. Si tentò, invano di organizzare con amici due giorni in città durante il festival. Ottenni la mia seconda chances perché la compagnia liquidò la gita. Tutto mi era favorevole, trovai l’ultimo buco in ostello (camerata mista) trovai il passaggio e andai. Anche questa volta amici e parenti non capivano, forse sembravo la povera sfigata senza amici.
Avevo paura di sentirmi a disagio, di annoiarmi o di sentirmi incastrata in una situazione spiacevole…Trovai, invece, l’esperienza liberatoria e scoprì quanto mi sembrava naturale, nonostante la pioggia, stare sola. Abbinai il piacere immenso di partecipare a delle conferenze straordinarie ai piaceri della tavola. Scopri che nella pratica non si è mai veramente soli, perché si attirano continuamente curiosi o chiacchieroni che hanno voglia di raccontarti cosa fanno, perché e quando.

Ci presi gusto, mi aiutò Murphy rompendo le uova nel paniere ancora una volta. In questo caso si trattava di quattro giorni flash a Berlino con il mio ragazzo. Avevo l’occasione per provare l’esperienza anche all’estero in maniera più completa, compresi tutti gli odiosi passaggi quali: dormire due ore, prendere l’autostrada e guidare fino a Malpensa alle tre di notte sotto al diluvio universale, trovare il parcheggino prenotato on line, navetta e finalmente aeroporto. Si dilatano i tempi di riflessione ed è anche meno palloso fare le file perché m’incanto ad osservare i miei vicini di fila ed ad immaginarmi le loro vite, scrutare volti, i tic ecc…

Ho scoperto anche di avere un senso dell’orientamento ridicolo, convinta com’ero di essere una super donna cazzuta. Arrivai a Berlino alle 8 del mattino, in ostello alle12. Distanza dall’aeroporto all’ostello? 36 minuti. Come ho impiegato le ore rimanenti? Perdendomi. Ovunque. Dall’indicazione errata del tedesco sgruso-Non-inglese-parlante, ho dato il La ad un interminabile giro-tondo tra treni, bus e metrò per poi, capita la direzione, farmi non so quanti km a piedi, con uno zaino pesante come la ghisa, per non rischiare di prendere il mezzo pubblico sbagliato.
Parola madre dell’esperienza? “Viva Mamma Google Maps”, perché senza sarei caduta nella disperazione più nera. Con il telefono sempre sotto al naso e con la vocina rassicurante di Mamma Maps ho girato tutta la città, passando da un bus all’altro e da una metro sbagliata all’altra ma… Che sensazione fantastica, ovattata nel mio inglese maccheronico, sentivo brividi di libertà ed esaltazione corrermi su per la schiena. Mi sentivo l’eroina emancipata “Mareka de noi artri”. Confesso di aver avuto dei timori e di aver organizzato tutto con la paura, di dover dire da un momento all’altro: ecco, ho fatto una cazzata. Dal timore sono passata all’amore per l’ostello che avevo scelto e ho scoperto che non ero l’unica. Nella mia camera, da otto ragazze, non ce n’era una sola in compagnia; ragazze da tutta l’Europa ognuna per i fatti propri, la più sconvolgente? Una ragazzina neo 19enne, matricolina Russa, con del tempo libero tra un esame e l’altro che si stava sparando in leggerezza una settimana sola a Berlino. Così. Ed ecco che arriva la matusa ventiseienne italo-mareka che la guarda con gli occhi sgranati.

Molto simpatica la scenetta al Judisches museum, io vagavo tra un’esposizione l’altra ascoltando la voce logorroica dell’audioguida, ad un certo punto mi fermo, mi tolgo le cuffie e mi metto a rispondere ad sms. Così, sento schiarirsi una voce che mi chiede se sto bene. Certo, che sto bene grazie. Imperterrita continuo a comporre il mio messaggino. Non convinto, l’addetto mi chiede se sto cercando qualcuno, confusa gli dico che non sto cercando nessuno. La risposta non lo convince così mi chiede da dove vengo, così piccata rispondo: “Italia, ma c’è qualche problema?” All’udire Italia, attacca in italiano: “Ah!Italia! Ci sono stato!” E comincia a raccontarmi della sua vita nel frammento italiano… Ovviamente ascoltavo ma la conversazione mi sembrava surreale, non capivo. Così alla fine mi dice: “Scusa sai ma pensavo ti fossi persa, perché voi mediterranei non viaggiate mai soli, non è vostra abitudine siete troppo sociali. Mi sembrava troppo strano, poi una ragazza sai… Non sembri neanche italiana”
Ah, ecco… Non so cosa sia peggio se essere presa per femmina universalmente incapace o per femmina  mediterranea social addicted…

L’unica cosa negativa, penso, per tutte le donne è il sentirsi osservate, più di una volta ho nutrito il dubbio di avere qualcosa di strano. Troppo trucco? No, zero voglia. Vestita troppo provocante? No, a meno che non esista un qualche feticcio su scarponi da trekking o affini. Più di una volta, uomini di mezza età mi hanno osservata a lungo, per poi alla fine ammiccare nella mia direzione. Non ho capito se tra gli habitué, esista una forma di prostituzione più blanda che vede ragazze sole fingere di leggere guide o bere caffè Starbucks, celare un adescamento vero e proprio. Questo è l’esempio di cosa mi è accaduto a Potsdamer platz! O peggio in autobus, il masturbatore urbano che si siede di fronte a me e con il suo pantalone attillato in lattex comincia a toccarsi tentando di farmi piedino. La mia personale interpretazione dei seguenti episodi è la seguente: probabilmente nella vita di tutti giorni si ha sempre qualcosa da fare, il lavoro, poi lo sport, gli amici, fidanzati vari ecc. Questi impegni fanno si che non si creino quelle sacche d’infinito tempo libero in cui ci si ferma e s’incappa in questi personaggi.  A Potsdamer platz ero seduta su quel muretto da effettivamente troppo tempo e sull’autobus, avendo sbagliato la direzione aspettavo che arrivasse al capolinea per tornare alla mia meta…


Tralasciate queste spiacevoli disavventure di poca importanza, a Berlino ho conosciuto anche delle persone completamente diverse da me. Non per aspetto fisico o credo politico, ma per le piccole routine di vita ordinaria. Per un momento mi sono sentita ricchissima e fortunata di avere il potere, la capacità e la forza di avere la voglia di vivere esperienze così…Anche sola.









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