Chissà perché, ma mi è
bastato così poco…
Come tante cose, anche le
migliori, è nato tutto un po’ per caso. Esiste una legge, e ognuno ne ha una
propria personale variante, che prevede una percentuale molto alta di
fallimento in determinati eventi programmati, la legge di Murphy, appunto.
E’ nato un po’ così il mio
primo mini-viaggio in solitaria. Non dico “vacanza” perché implica una dose di
relax e spensieratezza che di norma manca nelle mie uscite, ma questa è
tutt’altra storia…
Già l’anno scorso si presentò
la possibilità di stare via qualche giorno da sola. Come da premessa, l’idea
era di partire per Bruxelles con un’amica ma Murphy decise che no, la cosa non
andava fatta… La compagna di brigata rinunciò alla gita e io mi trovai sola con
quattro giorno di ferie chiesti e un’amica Ryanair che ammiccava seducente.
Barcellona: perché no? Non
ero mai stata in quella città, la primavera avanzava felice e… Mi assalirono mille
dubbi. Ma una ragazza, che viaggia da sola, è al sicuro? E dove dorme? In un
ostello?? Naa… E la sera? Con chi esce? Sta in albergo? Allora il budget
cambia?
Partita nella
pianificazione iniziale con entusiasmo e spavalderia sfociai nell’indecisione
più nera, passando da un forum all’altro, cercando recensioni e racconti di
esperienze di chi, prima di me aveva provato l’esperienza. Dico L’esperienza e
non Un’esperienza perché ho successivamente scoperto che è quasi uno status
symbol definirsi un “Io viaggio solo”. Twitter, Facebook e la rete in generale, pullulano di gruppi, utenti incuriositi o
navigati viaggiatori solitari seriali:
Pagine dedicate alle sole
donne che decidono di organizzare un viaggio in solitaria:
In rete trovai la mia
motivazione, sembrava totalmente normale e anzi, quasi formativo.
Chi in maniera più blanda,
concedendosi brevi week end, chi in maniera più “strong” sparendo per settimane
o mesi in luoghi esotici o lontani, meglio se dai nomi impronunciabili
dichiarava l’impareggiabilità dell’esperienza.
Trasferì la mia
motivazione ad amici e colleghi raccontando la mia intenzione di andare a
Barcellona da sola e di godermi qualche giorno zingarando per la città. La
reazione fu diversa da quella della comunità 2.0.
Mi chiesero: Ma perché? Perchè
sola? Ma non trovi proprio nessuno? Non è sicuro? A Barcellona ti deruberanno
subito…E dove dormi? In ostello? Ma lo devi proprio fare?
Mi arresi… annullai la
partenza e me ne rimasi buona buonina a Parma dicendomi: “Insomma un viaggio è
bello se condiviso, ma che bisogno ho di andare da sola… che cavolate”
Tentavo di convincere me
stessa.
Arrivò l’appuntamento
annuale a Ferrara del Festival di Internazionale. Si tentò, invano di
organizzare con amici due giorni in città durante il festival. Ottenni la mia
seconda chances perché la compagnia liquidò la gita. Tutto mi era favorevole,
trovai l’ultimo buco in ostello (camerata mista) trovai il passaggio e andai.
Anche questa volta amici e parenti non capivano, forse sembravo la povera
sfigata senza amici.
Avevo paura di sentirmi a
disagio, di annoiarmi o di sentirmi incastrata in una situazione spiacevole…Trovai,
invece, l’esperienza liberatoria e scoprì quanto mi sembrava naturale,
nonostante la pioggia, stare sola. Abbinai il piacere immenso di partecipare a
delle conferenze straordinarie ai piaceri della tavola. Scopri che nella
pratica non si è mai veramente soli, perché si attirano continuamente curiosi o
chiacchieroni che hanno voglia di raccontarti cosa fanno, perché e quando.
Ci presi gusto, mi aiutò Murphy
rompendo le uova nel paniere ancora una volta. In questo caso si trattava di
quattro giorni flash a Berlino con il mio ragazzo. Avevo l’occasione per
provare l’esperienza anche all’estero in maniera più completa, compresi tutti
gli odiosi passaggi quali: dormire due ore, prendere l’autostrada e guidare
fino a Malpensa alle tre di notte sotto al diluvio universale, trovare il parcheggino
prenotato on line, navetta e finalmente aeroporto. Si dilatano i tempi di
riflessione ed è anche meno palloso fare le file perché m’incanto ad osservare
i miei vicini di fila ed ad immaginarmi le loro vite, scrutare volti, i tic
ecc…
Ho scoperto anche di avere
un senso dell’orientamento ridicolo, convinta com’ero di essere una super donna
cazzuta. Arrivai a Berlino alle 8 del mattino, in ostello alle12. Distanza
dall’aeroporto all’ostello? 36 minuti. Come ho impiegato le ore rimanenti?
Perdendomi. Ovunque. Dall’indicazione errata del tedesco sgruso-Non-inglese-parlante,
ho dato il La ad un interminabile giro-tondo tra treni, bus e metrò per poi,
capita la direzione, farmi non so quanti km a piedi, con uno zaino pesante come
la ghisa, per non rischiare di prendere il mezzo pubblico sbagliato.
Parola madre
dell’esperienza? “Viva Mamma Google Maps”, perché senza sarei caduta nella
disperazione più nera. Con il telefono sempre sotto al naso e con la vocina
rassicurante di Mamma Maps ho girato tutta la città, passando da un bus
all’altro e da una metro sbagliata all’altra ma… Che sensazione fantastica,
ovattata nel mio inglese maccheronico, sentivo brividi di libertà ed
esaltazione corrermi su per la schiena. Mi sentivo l’eroina emancipata “Mareka
de noi artri”. Confesso di aver avuto dei timori e di aver organizzato tutto
con la paura, di dover dire da un momento all’altro: ecco, ho fatto una
cazzata. Dal timore sono passata all’amore per l’ostello che avevo scelto e ho
scoperto che non ero l’unica. Nella mia camera, da otto ragazze, non ce n’era
una sola in compagnia; ragazze da tutta l’Europa ognuna per i fatti propri, la
più sconvolgente? Una ragazzina neo 19enne, matricolina Russa, con del tempo
libero tra un esame e l’altro che si stava sparando in leggerezza una settimana
sola a Berlino. Così. Ed ecco che arriva la matusa ventiseienne italo-mareka
che la guarda con gli occhi sgranati.
Molto simpatica la
scenetta al Judisches museum, io vagavo tra un’esposizione l’altra ascoltando
la voce logorroica dell’audioguida, ad un certo punto mi fermo, mi tolgo le
cuffie e mi metto a rispondere ad sms. Così, sento schiarirsi una voce che mi
chiede se sto bene. Certo, che sto bene grazie. Imperterrita continuo a
comporre il mio messaggino. Non convinto, l’addetto mi chiede se sto cercando
qualcuno, confusa gli dico che non sto cercando nessuno. La risposta non lo
convince così mi chiede da dove vengo, così piccata rispondo: “Italia, ma c’è
qualche problema?” All’udire Italia, attacca in italiano: “Ah!Italia! Ci sono
stato!” E comincia a raccontarmi della sua vita nel frammento italiano…
Ovviamente ascoltavo ma la conversazione mi sembrava surreale, non capivo. Così
alla fine mi dice: “Scusa sai ma pensavo ti fossi persa, perché voi
mediterranei non viaggiate mai soli, non è vostra abitudine siete troppo
sociali. Mi sembrava troppo strano, poi una ragazza sai… Non sembri neanche
italiana”
Ah, ecco… Non so cosa sia
peggio se essere presa per femmina universalmente incapace o per femmina mediterranea social addicted…
L’unica cosa negativa,
penso, per tutte le donne è il sentirsi osservate, più di una volta ho nutrito
il dubbio di avere qualcosa di strano. Troppo trucco? No, zero voglia. Vestita
troppo provocante? No, a meno che non esista un qualche feticcio su scarponi da
trekking o affini. Più di una volta, uomini di mezza età mi hanno osservata a
lungo, per poi alla fine ammiccare nella mia direzione. Non ho capito se tra
gli habitué, esista una forma di prostituzione più blanda che vede ragazze sole
fingere di leggere guide o bere caffè Starbucks, celare un adescamento vero e
proprio. Questo è l’esempio di cosa mi è accaduto a Potsdamer platz! O peggio
in autobus, il masturbatore urbano che si siede di fronte a me e con il suo
pantalone attillato in lattex comincia a toccarsi tentando di farmi piedino. La
mia personale interpretazione dei seguenti episodi è la seguente: probabilmente
nella vita di tutti giorni si ha sempre qualcosa da fare, il lavoro, poi lo
sport, gli amici, fidanzati vari ecc. Questi impegni fanno si che non si creino
quelle sacche d’infinito tempo libero in cui ci si ferma e s’incappa in questi
personaggi. A Potsdamer platz ero seduta
su quel muretto da effettivamente troppo tempo e sull’autobus, avendo sbagliato
la direzione aspettavo che arrivasse al capolinea per tornare alla mia meta…
Tralasciate queste
spiacevoli disavventure di poca importanza, a Berlino ho conosciuto anche delle
persone completamente diverse da me. Non per aspetto fisico o credo politico, ma
per le piccole routine di vita ordinaria. Per un momento mi sono sentita
ricchissima e fortunata di avere il potere, la capacità e la forza di avere la
voglia di vivere esperienze così…Anche sola.
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